Eccoci alla seconda puntata delle mie cronache di vita londinese. Sono già passati venti giorni dal mio bizzarrissimo arrivo e ancora non riesco a capacitarmi di come possa essere sopravvissuta ad una così incredibile successione di eventi.
Vi avevo lasciato la scorsa volta con un piccolo teaser riguardo un certo ostello, il N°8 di Willesden che non è affatto, come ben si potrebbe immaginare, fico e organizzato come appare nel sito: mi limito solamente a descriverlo come “al limite del legale”, in quanto situato in uno dei quartieri più ghetto di Londra e popolato, ovviamente, dal disagio intercontinentale.
Essendo io un personaggio altrettanto disadattato, posso ammettere di essere sopravvissuta senza marchi permanenti. Aggiungo alcune foto che ne ritraggono l’ambiente palesemente ispirato ad una comunità di Caracas:
A parte l’aria da centro sociale, posso ammettere di non essermi trovata male. Ho conosciuto un botto di personaggi assurdi, uno meno raccomandabile dell’altro, ma comunque ognuno di loro era interessante a suo modo: c’era la spagnola che non mi lasciava dormire la notte perché ogni cavolo di volta faceva entrare random la sua amichetta zoccola indiana, l’altra mia compagna di stanza palesemente crackomane che solo dopo quattro notti ho capito fosse pure lei italiana, i ragazzi della gestione tutti tutti tutti (a parte la manager vichinga e il buttafuori giappo) italiani, gli spagnoli che stavano tutto il giorno a fare gli attrezzi in palestra e mortacci loro manco mi hanno aiutato con le valigie, il mio compatriota toscano Marco il fotografo che mi ha pure ritratta per un suo progetto come una vittima dell’olocausto, italiani su italiani venuti per cercare lavoro, squatters con tanto di occhi bicolori e tatuaggio sul collo, gente indefinibile che mi ha insegnato a lanciare le freccette, etc.
Fra questi allegri bricconi ho avuto la fortuna di trovare le mie attuali coinquiline verso ciò che è diventata adesso la dimora del Wembley Shore, ossia Chiara e Giovanna. Insieme a loro ho trovato casa nella vivacissima zona di Neasden, celebre per i suoi kebabbari e le sfuggenti donne col burqa.
La convivenza al Wembley Shore procede bene attualmente, dato che non sono ancora fuggita. Pure in questo caso mi ritrovo circondata da italiani e di conseguenza, il mio livello di inglese resta tutt’ora quello di Matteo Renzi, ma comunque, non posso lamentarmi: da come avevo programmato questa britannica trasferta, le mie probabilità di sopravvivenza erano quelle di pedone a GTA e oltretutto, il nostro coinquilino barese lavora da Caffè Nero.
To be continued..