Dei Rolling Stones: ovvero, cronaca di un’impresa

I sit and watch as tears go by..

No, alla fine non ho pianto. Ma ho creduto seriamente di svenire, per tutta la durata del concerto. Questa è la mia recensione dell’evento più importante della mia vita, da oggi posso pure ritirarmi nelle campagne scozzesi a cogliere fiori con Donovan.

Dalle tre di pomeriggio con furore

Dalle tre di pomeriggio con furore

Perché così catastrofica? Perché è così, non ci sono altri modi per esprimere l’effetto devastante che ha avuto su di me il concerto dei Rolling Stones al Circo Massimo. Nei miei ventiquattro anni di vita ho avuto la fortuna di assistere ai concerti di Bob Dylan, di Roger Daltrey, dei Beach Boys, dei Deep Purple, di Patti Smith, di Blixa Bargeld, dei Pretty Things, senza contare altri artisti minori che non riporto perché non me ne fotte una ceppa (e si, ho pure avuto la sfortuna di perdermi Lou Reed, ma va beh, rosicate), a questo punto gli unici che mi piacerebbe ancora vedere sono Nick Cave, Roger Waters e gli AC/DC (anche perché di un concerto di David Bowie pare non se ne parli neppure fra millant’anni, mentre gli altri sono tutti morti). Ma anche per questi ormai, diciamo che si è insinuata in me la classica sindrome di senilità precoce, riconoscibile attraverso le espressioni da me ripetute ieri sera per tutto il post-concerto: “Non c’ho più er fisico”, “Non voglio birra, voglio zuccheri”, “La prossima volta seduta”. In sostanza, una volta avevo l’energia per aspettare ore ed ore sotto al sole in attesa dei miei idoli, adesso invece.. si, lo rifarei ancora, ma solo ed esclusivamente per un altro concerto dei Rolling Stones. Nessun altro e ripeto NESSUN ALTRO merita tutto il travaglio che ho passato in attesa e durante l’ascesa dei miei pupilli.

Si, eravamo un botto

Si, eravamo un botto

Dopo tutte queste chiacchiere, passiamo alla vera recensione.
Il concerto è stato aperto da John Mayer, adesso conosciuto come “Hai rotto il cazzo” e “Vattene vogliamo Mick”. Non potete neppure immaginarvi l’angoscia che scaturiva quell’artista occhialuto, che porello, era pure bravo però.. dopo tutte quelle ore ad aspettare gli Stones chiunque si sarebbe scocciato nel vederlo ancora sul palco dopo le prime due canzoni (infatti è rimasto per circa un’ora, per la gioia degli esausti presenti).
Come se non bastasse, defilato il povero Mayer, sono seguiti altri cinquanta minuti di frustrante attesa, con gente che a furia di rimanere con il braccio alzato, pronta per lo scatto, penso seriamente sia rimasta paralizzata nel fatidico saluto romano, per la gioia di Marino. Ma nonostante ciò, nonostante le imprecazioni, nonostante tutti gli accolli che aizzavano la mia indole sociofobica, alla fine di questo lungo e interminabile strazio, il buon vecchio Michelino con truppa al seguito è salito sul palco sulle gasatissime note di Jumpin’ Jack Flash (e vorrei aggiungere, con una scenografia talmente tamarra da fare invidia all’art-director di X-Factor). L’adrenalina e soprattutto i miei ormoni, non serve dirlo, sono subito schizzati alle stelle.

Sboom

Sboom

Dalla mia postazione non si vedeva praticamente una mazza, grazie alla probabile squadra di NBA che mi si era posizionata davanti, ma anche questi sono dettagli: per godersi un concerto non è di certo essenziale vederseli addosso (anche se lo avrei apprezzato), anche perché se mi sforzavo di saltare riuscivo comunque a vedere le loro capocce (ok, sto rosicando). La loro presenza scenica era però talmente immensa da scatenare la reazione degli oltre 40mila fans, vecchi e giovani, tutti esaltatissimi nell’estrema euforia delle pietre rotolanti.
Dopo il pezzo d’apertura siamo passati a Let’s Spend the Night Together, immancabile perla degli anni Sessanta. Durante tutta la canzone sono state proiettate sullo schermo le immagini dei giovani Stones, fra cui spiccava immortale l’elegante immagine di Brian Jones. Un colpo al cuore e un ottimo tributo a chi più di tutti ha contribuito alla nascita del gruppo.
I miei ricordi a questo punto si fanno abbastanza confusi sul giusto ordine delle canzoni, anche perché sinceramente non m’arregge di commentarle tutte. Ma posso ammettere con somma sicurezza che dal momento in cui Mick si è esibito sulle note di Gimme Shelter, affiancato dalla potentissima voce di una cantante di colore, la mia esplosione emotiva ha raggiunto l’apice. Io non ho MAI, MAI, MAI, sentito niente di così straordinario in vita mia. Un duetto incredibile, due anime irrequiete che si scatenavano nei versi di una delle canzoni più suggestive di sempre.. io, boh. Penso che non sentirò mai più niente di così bello in vita mia. Ho provato questa mattina a sentirla di nuovo e giuro, mi sono tornati i brividi.
A Gimme Shelter si affianca un’altra canzone, la più esplosiva a livello scenico, performativo e galvanizzante, e non può che essere Sympathy for the Devil. Non so cosa scrivere, davvero. Vedere Mick Jagger apparire dal buio che era calato con un’esplosione rossastra, quasi venisse dall’inferno, con tanto di mantello demoniaco e cori di sottofondo.. Non lo so, potrei scrivere tante cazzate, sull’energia che scatenava, sulla frenesia che si respirava nell’aria, ma niente di tutto questo sarebbe abbastanza per esprimere adeguatamente cosa si provasse nell’essere presenti in quel momento. Un momento dallo stesso sapore dell’eternità.

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La recensione si potrebbe protrarre per millemila pagine, ma non è di certo mia intenzione fare una superba rassegna critico-tecnica a livello musicale del concerto. La mia è una pura e sincera espressione, l’immensa voglia di raccontare un evento che ho aspettato per tutta la vita e che probabilmente non si ripeterà più, l’incontro con l’apoteosi del rock, quel gruppo che più di tutti ha segnato le tappe fondamentali della mia vita, descritto le mie emozioni, parlato al mio cuore come nessun altro potrebbe mai fare. Io ho avuto questa grande fortuna e non potevo che condividerla, come il degno tributo alla band più duratura di sempre.
Vorrei dire quanto mi sono esaltata sulle note di Start Me Up, quanto mi sono divertita nel sentire Mick esprimersi in uno stentato italiano, quanto mi sono commossa nella chiusura con You Can’t Always Get What You Want e Satisfaction, ma davvero, cadrei nello smielato e non sarebbe decisamente nel mio stile. Direi che è meglio chiuderla qui, lasciare spazio alle immagini e ai ringraziamenti, con il migliore augurio ai Rolling Stones che possano rockeggiare ancora per molto!

Non ho potuto fare di meglio, pazientate

Non ho potuto fare di meglio, pazientate

Ovviamente, questo è lo schermo

Ovviamente, questo è lo schermo

Va beh, ci rinuncio. Le mie foto fanno veramente schifus, però vi assicuro, erano fichissimi.

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